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L’unico amore possibile è quello libero

Intervista a Stefano Persico. Un regista e il suo “villaggio”
A Roma, in un vicolo dove i palazzi sussurrano storie di un tempo, abbiamo avuto il piacere di incontrare un uomo speciale, un personaggio che lascia un segno anche solo con uno sguardo. Stefano Persico è l’anima pulsante dello spettacolo teatrale del Servathon, l’evento benefico organizzato a Roma da Sodexo per sostenere le iniziative di Stop Hunger.
Si tratta di un progetto che profuma di sacrificio, di notti trascorse a provare, di amicizie che si consolidano sotto i riflettori. Un’iniziativa radicata nel desiderio autentico di fare del bene e aiutare chi ne ha davvero bisogno.
Un incontro che lascia il segno
Dietro il sipario, prima che le luci si accendano, c’è la magia di Stefano: un uomo capace di far battere un cuore collettivo. Abbiamo avuto l’opportunità di intervistarlo in esclusiva e, nonostante la sfida di contenere l’entusiasmo, ne siamo usciti con una storia incredibile.
Siamo arrivato a Stefano grazie alle Ambassador di Stop Hunger di Roma – Patrizia Andreoli, Paola Olevano e Paola Fortuna – con cui abbiamo visitato l’elegante sede nella zona EUR. Dopo aver incontrato, seppur brevemente, i colleghi della capitale, nel pomeriggio abbiamo raggiunto il regista.
Alla mia prima domanda, “Chi è Stefano?”, è esplosa una risata fragorosa che ha risuonato come un’eco tra i palazzi del quartiere. Qui, Stefano è una sorta di leggenda locale. Certo, è anche il custode di quei palazzi, ma sarebbe riduttivo chiamarlo così: è un amico, una spalla, un mentore per chiunque lo incontri.
Un villaggio nel cuore di Roma
“Sai che una volta ero un prete?” inizia lui, con quella semplicità inaspettata. “Mi sono formato in Polonia, nei seminari voluti da Giovanni Paolo II. Ho vissuto in Bielorussia, poi in Ucraina. Ma a un certo punto ho capito che volevo altro: volevo vedere crescere i ragazzi, vivere in comunità, sentire il battito della vita che scorre. Insomma, volevo un villaggio.”
E quel villaggio l’ha creato davvero. Chiunque passi nella sua portineria riceve un saluto, una parola, un pensiero. Stefano ricorda tutto: una nipotina appena nata, degli esami da ritirare, l’appuntamento con un poeta o un musicista. Il suo ruolo va ben oltre la distribuzione dei pacchi: è diventato un maestro di vita per la comunità.
“Vedi quella ragazza?” ci rivela, indicando una giovane affacciata al balcone. “La ricordo adolescente. Oggi è mamma. Ogni giorno davanti a me si scrivono storie e io le osservo, le custodisco. È un po’ come continuare a essere prete, ma a modo mio: dono un po’ di me stesso e ricevo umanità.”
Teatro come comunità
L’abbiamo incontrato in un giorno di prove per il nuovo spettacolo teatrale che andrà in scena l’8 maggio nella Sala Biavati di Roma . Quest’anno Stefano ha scelto “Belle e il castello incantato”, un musical che – come ogni suo spettacolo – è molto più di una semplice rappresentazione: è un abbraccio collettivo, un messaggio di speranza.
“Volevo creare un teatro genitori-figli”, racconta. “Un luogo dove i ragazzi possano crescere insieme agli adulti in un progetto che li faccia stare bene. Ma attenzione: i miei spettacoli hanno sempre una finalità. La conditio sine qua non dell’amore è la libertà. È un viaggio per scoprire chi siamo, per capire che l’unico amore possibile è quello libero.”
Questa filosofia attraversa ogni lavoro di Stefano, come era già avvenuto con “La Principessa Perduta”, ispirata a Rapunzel. Anche stavolta, nella nuova versione di “La Bella e la Bestia”, il tema centrale resta lo stesso.
Il potere dell’emozione autentica
Colpisce la cura dei dettagli tecnici – musica, canto, recitazione, luci. Ma il vero obiettivo, secondo Stefano, è trasmettere emozioni autentiche.
“Un attore vero è quello che riesce a far provare qualcosa al pubblico. Ma per farlo deve crederci. I miei ragazzi devono sentire ciò che dicono, riconoscere la libertà dell’amore dentro la propria esperienza personale. Solo così lo spettacolo diventa un percorso interiore, una crescita vera.”
La giornata si chiude nella stanza delle prove, a pochi passi dalla guardiola. Ragazzi e genitori si stringono attorno al regista, come una grande famiglia. Tutti indossano un segno distintivo: un sorriso, quello di chi sa di essere parte di qualcosa di importante.
Salutiamo tutti con la sensazione di aver vissuto qualcosa di unico e con la speranza di tornare presto a Roma, per rivedere i colleghi, Stefano e questi giovani attori che con coraggio portano in scena la bellezza della solidarietà.
Un’occasione per partecipare
L’evento rientra nella maratona di solidarietà Servathon promossa da Stop Hunger, la rete di volontariato aziendale del Gruppo Sodexo, che ogni anno coinvolge i collaboratori di tutto il mondo in iniziative concrete contro la fame e a favore dell’empowerment femminile.
Il ricavato dell’intera serata sarà destinato a rinaSHEta, un progetto di Fondazione Libellula a sostegno di percorsi di autonomia con possibilità di reinserimento lavorativo per donne vittime e/o a rischio di violenza e in condizioni di fragilità.
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